Introduzione

 

 

bruno marzano laboratorio di liuteriaBruno Marzano, schivo e poliedrico artigiano con un passato da vasaio a Gerace, il giorno in cui cominciò a costruire strumenti musicali dei contadini e dei pastori calabresi mai avrebbe immaginato di ricevere per via della sua nuova attività frequenti visite da parte di gente radicalmente diversa dallo zio Nando, che nelle serate della sua infanzia, quando non se ne andava in giro a suonare la zampogna, si sedeva vicino al camino e realizzava doppi flauti di canna. Questo zio era Ferdinando Scopacasa (1918 – 1986), grandissimo zampognaro della Locride e di conseguenza, in un epoca non molto lontana che il nipote ha in parte vissuto, indispensabile protagonista di occasioni rituali e festive molto importanti per le comunità paesane della zona. Bruno Marzano si rapporta consapevolmente da un decennio al sapere musicale e organologico dei contadini, dei pastori e dei mastri costruttori di strumenti, e lo può fare dall’interno senza alcuna presunzione perché ha assimilato fin da piccolo un patrimonio di esperienze e gesti, perché sa da sempre grazie allo zio che un oggetto produttore di suono trova il suo senso all’interno di organico sistema musicale. E dietro le formalizzazioni sonore della tradizione orale calabrese non solo c’è un’estetica musicale che fa a pugni con quella che alimenta la musica commerciale, ma anche ci sono forme di socialità e urgenze comunicative che nulla hanno da spartire con le abitudine urbane di consumo musicale. Mastro Bruno nel suo percorso umano e intellettuale di ricerca ed elaborazione di una personale identità di calabrese ha avuto un’umanità e una cultura di riferimento, quelle stesse di cui lo zio Nando è stato un significativo rappresentante. E oggi sconcertato, lui che mai ha subito la schiavitù di una moda, vede sfilare nel suo laboratorio coloro che in nome dei suoni di tradizione orale si affannano ad organizzare eventi, si compiacciono di darsi da fare sui palchi dei concerti coadiuvati da potenti impianti d’amplificazione, costruiscono persino strumenti musicali popolari guidati dalla geniali idea che vadano in qualche maniera abbelliti, sollevati dalla loro primigenia rozza condizione.

 

bruno marzano laboratorio di liuteriaTutti costoro i suoni tradizionali non li amano e non desiderano conoscerli, impegnati come sono a metterli in scena, e non possono neanche apprezzare fino in fondo l’unico mastro liutaio della nuova generazione che potrebbe usare con disinvoltura l’arcaico tornio a pedale con la cordicella del giustamente leggendario Michelangelo Monteleone, defunto costruttore di zampogne un tempo attivo a Cernatali, nel comune di San Giorgio Morgeto. Perché Bruno, le cui capacità manuali sono depositate nella memoria corporea e sono state “rubate” con gli occhi, è di mentalità davvero preindustriale: mentre il costruttore medio odierno si avvale del progresso tecnico a scapito della propria abilità operativa, ridotta alla capacità di usare pantografi e macchinari sempre più automatici, e fornisce alla clientela prodotti artigianali tanto per dire, nel modo di procedere di Bruno Marzano l’abilità operativa non si è semplificata, rimane più importante dell’ attrezzatura in sé e costituisce la manifestazione di un sapere che prescinde da concettualizzazioni, “implicito nel fare”, in virtù del quale il corpo agisce “ senza bisogno del controllo teso e continuo della mente” (frasi di Giulio Angioni, al cui scritto sulla tecnica e il sapere tecnico nel lavoro preindustriale rimando il lettore interessato. Vedi G. Angioni, Il sapere della mano, pagine 91-115, Sellerio editore, Palermo 1986). Speriamo che la moda passi presto, sennò il mastro amico mio da schivo mi diventa selvatico.

di Valentino Santagati